Scarsa Autostima e ansia di tratto: binomio pericoloso

L' autostima, risulta essere di fondamentale importanza sia nei processi psichici individuali, sia nei rapporti interpersonali. Il benessere mentale quindi è imprescindibile dalla costruzione di una sana autostima.

Tuttavia, molte situazioni di disagio psicologico sono caratterizzate proprio da problematiche inerenti la stima di sé, che risulta spesso carente, inadeguata e connotata negativamente. Frequentemente, tali casi si accompagnano ad un altro fenomeno di rilievo clinico, ossia l’ansia di tratto, dando vita ad un binomio pericoloso in cui le due componenti si rafforzano vicendevolmente. L’intervento psicologico, può risultare molto utile per sciogliere questo binomio, ricostruendo una storia personale più armoniosa ed integrata.

Nell’attuale contesto globale, risulta sempre più difficile avere una percezione positiva delle proprie qualità e competenze. Non tutti riescono a far fronte alle continue richieste di miglioramento e ampliamento del proprio curriculum professionale, umano ed esperienziale. Soddisfare le richieste di perfezione che provengono dalla realtà esterna è un arduo compito che pone molti individui in una condizione di conflitto tra la valutazione delle proprie capacità ed il timore di non poter raggiungere e/o sviluppare le qualità sperate e desiderate. I requisiti di accesso nei contesti relazionali sembrano diventare sempre più specifici e circoscritti, escludendo di conseguenza tutti coloro che non rispondono a determinati target e stereotipi sociali. La difficoltà di accedere ad alcune delle più importanti dimensioni della vita umana, come quella sociale e quella lavorativa, sembra essere particolarmente accentuata nelle persone che sono dotate di una negativa e scarsa autostima. Le persone che tendono a svalutarsi, generalmente, estendono ad ogni ambito della vita quotidiana la loro fragile e scarsa autostima, reputandosi sostanzialmente incapaci di saper fare e saper essere.

Probabilmente, le origini delle problematiche inerenti la scarsa autostima, vanno ritrovate nell’infanzia e nelle successive fasi evolutive. I caregivers svolgono un ruolo di primaria importanza nel processo di costruzione di una sana e armoniosa immagine di sé. Il bambino, fin dalla sua nascita è soggetto ad una prima e fondamentale valutazione, poiché durante tutta la gravidanza i suoi genitori lo hanno immaginato e sognato, dandogli forma e vita come il loro bambino ideale. Pertanto, alla nascita il bambino reale viene giudicato in base alla sua corrispondenza o meno al bambino immaginato e ideale. Dunque, l’ansia di essere valutati, approvati ed accettati, è un tipo di emozione che nasce insieme all’essere umano. È l’esperienza ambientale che può offrire all’uomo la possibilità di non sentirsi oppresso da queste forme di giudizio. I genitori, insieme a tutti gli altri individui che ruotano intorno alla vita del fanciullo, hanno il compito di favorire una crescita sicura, soddisfacendo i principali bisogni emotivi che strutturano le prime fasi evolutive del bambino. È molto importante convalidare le richieste di approvazione e di accettazione dei bambini, poiché, se questi ultimi non vengono valorizzati dalle loro principali figure di riferimento, è molto difficile che riescano a farlo autonomamente. Come spesso accade, i bambini hanno bisogno di imitare gli adulti per apprendere la conoscenza del mondo ed il suo funzionamento. Dunque, se i caregivers riescono ad apprezzare il valore del bambino, è probabile che quest’ultimo farà lo stesso perché si sentirà in grado di meritare quella valutazione positiva e quindi cercherà di mantenerla nel corso del tempo, anche se suscettibile delle ulteriori e progressive influenze ambientali.

L’importanza dell’autostima è stata riconosciuta da numerosi studiosi, tra cui Maslow, il quale teorizzò la famosa “piramide dei bisogni”, indicando l’insieme delle principali esigenze che andrebbero corrisposte nel processo evolutivo di ogni individuo. Secondo tale concettualizzazione teorica, ci sarebbe innanzitutto il soddisfacimento dei bisogni fisiologici, a seguire quelli di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione (A.H. Maslow, 2010). La stima di sé, costituisce un processo il cui inizio e la cui fine non possono essere stabiliti con esattezza, in quanto è una dimensione che può variare nel tempo e risente notevolmente delle esperienze ambientali che vengono vissute progressivamente e che hanno il potere di confermare o disconfermare alcuni schemi cognitivi di autovalutazione.

Dunque, se nel corso del tempo vengono collezionati prevalentemente eventi disfunzionali per la costruzione di una sana autostima, l’effetto finale sarà quello di sentirsi incapaci, inadeguati e mai all’altezza. In questi casi, la svalutazione delle proprie abilità e del proprio modo d’essere, può favorire la diffusione di timori e di preoccupazioni, a partire dal confronto con gli altri, i quali vengono considerati sempre migliori e brillanti. Tutto ciò può innescare una serie di dinamiche problematiche, che spesso riguardano l’ansia, soprattutto quella anticipatoria o di prestazione.

Le persone che hanno difficoltà con la propria autostima, sono costantemente insoddisfatte perché non riescono (o credono di non riuscire) a raggiungere gli obiettivi prefissati, o perché si considerano incapaci di raggiungerli a priori, senza neanche averci provato. Spesso, costoro cadono vittime della “profezia che si autoavvera”, per cui assumono un atteggiamento pessimistico e danno per certo il loro fallimento in un determinato ambito, e alla fine, credendo fortemente di essere incapaci, falliscono realmente (R. K. Merton, 1968). Ad esempio, nel caso di un colloquio di lavoro, prende forma la convinzione assoluta dell’esito negativo dell’opportunità presentatasi, si scatena l’ansia anticipatoria che incrementa il livello di tensione, e per ridurre il carico di pressione ci si convince del fallimento del colloquio, con la conseguente illustrazione parziale delle proprie competenze effettive, le quali vengono oscurate dalla stessa convinzione illusoria di non possederle. Prende atto, in questo modo, un circolo vizioso che spinge l’individuo a mostrare le parti più deboli di sé, perché pensa di avere solo quelle, e mostrando unicamente i propri limiti (immaginari) colleziona continue conferme del suo scarso valore.

La fragilità di chi ha queste difficoltà, si manifesta non solo nei contesti più strutturati ed esigenti come quelli lavorativi, ma anche nei rapporti sociali ed affettivi. La socialità è una delle aree della vita umana che risente notevolmente degli effetti di una scarsa autostima. Avere una sfavorevole stima di sé stessi spesso può tradursi nella difficoltà di instaurare sani rapporti interpersonali. “Non sono un buon amico”, “Non sono una buona madre”, “Non sono una moglie all’altezza”, “Non sono il figlio che i miei genitori volevano”, “Non valgo nulla”, sono tutte espressioni frequentemente utilizzate da chi tende a svalutarsi.

D’altra parte, vivere accanto a chi ha problemi di questo genere, non è un’esperienza facile da gestire, in quanto le persone che hanno una scarsa autostima, oltre a risultare frustrate, caricano i propri compagni di vita, amici e/o parenti di continue richieste di approvazione e di accettazione, ma nonostante le continue rassicurazioni ricevute, spesso permangono quegli schemi cognitivi disfunzionali che si basano su una convinzione erronea del proprio valore. L’ansia, generalmente, è un tratto tipico di queste personalità e non è quasi mai funzionale.

Come evidenziato da Cattell e Scheier nel 1961, si possono riconoscere due tipi di ansia: l’ansia di stato e l’ansia di tratto (R. B. Cattell, I. H. Scheier, 1961). Nel primo caso, l’ansia può avere una connotazione positiva, in quanto essa è circoscritta ad una determinata situazione e si manifesta attraverso un’attivazione psicofisica che comporta un incremento di tensione utile e funzionale per lo svolgimento di un compito. Nel secondo caso, invece, l’ansia costituisce un tratto stabile della personalità e condiziona negativamente ogni pensiero e/o azione dell’individuo. L’ansia di tratto porta ad amplificare il valore ed il peso degli eventi della vita quotidiana, i quali vengono considerati tutti ingestibili e faticosi, a prescindere dalla loro portata reale ed effettiva. La scarsa autostima e l’ansia di tratto sono spesso unite e tra di loro c’è un’influenza reciproca. Chi crede di non valere nulla, manifesta abitualmente una sorta di ansia da prestazione che deriva dalla convinzione di non essere capaci. Viceversa, chi vive in una continua condizione di ansia, difficilmente potrà fornire una performance eccellente, confermando in tal modo la sua incapacità e, quindi, il suo scarso valore.

La sofferenza che si nasconde dietro queste contorte dinamiche è immensa e necessita di un complesso lavoro psicologico volto a ristrutturare l’identità generale della persona. Di fatti, chi ha poca stima di sé stesso può presentare un’identità frammentata, incerta e lacunosa. È proprio la sensazione di essere incompleti in qualcosa, in questo caso nell’autostima, che favorisce quel vissuto di perenne insoddisfazione e di continua ricerca negli altri delle parti di cui ci si considera privi. In realtà, ogni individuo è già completo singolarmente e possiede una propria unicità, inimitabile e irripetibile, che deriva dalla storia personale. Pertanto, in questi casi, l’intervento psicologico dovrebbe puntare a trasformare i limiti del proprio vissuto privato, in punti di forza capaci di accrescere la stima nelle proprie potenzialità e abilità. Risulta necessario, dunque, un lavoro di rielaborazione della propria storia personale, al fine di attribuire nuovi significati a quegli eventi che hanno contribuito a gettare le basi di una scarsa autostima, fragile e vacillante, intervenendo di conseguenza anche sui tratti ansiosi. D’altra parte, uno degli aspetti più importanti della vita umana è proprio quello di creare continue possibilità per modificare e migliorare la propria condizione, specialmente laddove questa sia fonte di sofferenza e di repressione del proprio valore personale.

Bibliografia
  • Cattell, R. B., Scheier I. H. (1961). The Meaning and Measurement of Neuroticism and Anxiety, New York: Ronald Press.
  • Maslow, A. H. (2010). Motivazione e Personalità, Roma: Armando Editore.
  • Merton, R. K. (1968). Social Theory and Social Structure, New York: The Free Press