Gaslighting: di cosa si tratta?

Quando la manipolazione non è uno strumento ma un fine, e il manipolatore è consapevole del processo che sta mettendo in atto per fare in modo che la sua vittima aderisca totalmente al suo punto di vista, ci troviamo di fronte al Gaslighting.


La fiducia è necessaria ad ogni relazione e certamente ne costituisce una componente attrattiva, ma per poter riconoscere un’eventuale relazione "tossica" bisognerebbe far caso a una serie di aspetti, come ad esempio un cambiamento veloce delle proprie abitudini, del modo di usare il tempo, e la continua messa in discussione di sé stessi.

Quando si crede sia necessario cambiare il proprio modo di pensare in quanto inadeguato ci si illude spesso di aver raggiunto un nuovo grado di maturità e una maggiore consapevolezza di sé, ma in realtà, in alcuni casi, questo convincimento può essere la conseguenza di una lunga attività di suggestione, da cui uno dei due soggetti cerca di trarre vantaggio, mentre l’altro ne subisce gli effetti avendo spesso molta difficoltà a rendersene conto.

Chi riesce a tessere questo tipo di relazione è un abile manipolatore, ossia una persona in possesso di una grande capacità persuasiva, in grado di modificare le percezioni della vittima, asservendola a tal punto da farla dubitare di ogni cosa e portandola a aderire totalmente al punto di visita dello stesso.

Questo processo può avvenire in vari modi e, paradossalmente, il manipolatore è anch’esso vittima della sua incapacità di vedere la realtà in modo obiettivo.
Questo infatti agisce spinto dalla estrema convinzione riposta nelle proprie idee e di conseguenza attua i suoi schemi affinché molti altri li condividano; legandoli progressivamente a sé, traendo appagamento dal loro sostegno e approvazione e dunque rinnovate energie, perpetrando le sue macchinazioni, nella convinzione sempre più radicata di agire nel migliore dei modi, se non nel solo modo possibile.
Normalmente il manipolatore riesce nel suo intento e ottiene un discreto successo, dal momento che non di rado investe gran parte del suo tempo e delle sue risorse per maturare competenze utili allo scopo fin da bambino.

Nel caso invece in cui il suo disegno non arrivi a compimento, questi potrebbe persino destabilizzarsi al punto da compiere gesti estremi.

Questa forma estrema di manipolazione viene definita appunto Gaslighting.

In questa forma il manipolatore cerca di far dubitare la vittima della sua percezione fino a rendere persino il ricordo del proprio vissuto così debole, da essere relegato a mero fatto immaginato, con conseguenze gravi e profonde sull’autostima del bersaglio, che potrebbe infine ritenersi stupido e incapace, o addirittura pazzo; è insidiata ogni certezza e sicurezza della persona.

Il termine deriva dal film Gas light del 1938 e dai suoi rifacimenti successivi, tra cui vale la pena ricordare Rebecca – la prima moglie di Alfred Hitchock (1940).

Nel film è descritto bene il contesto in cui avviene la violenza psicologica. Un marito occupato a frugare casa per trovare le ricchezze della moglie abbassa, come effetto collaterale delle sue ricerche, l’intensità di alcune luci a gas. La moglie se ne accorge e manifesta disappunto e disagio, ma il marito riesce a convincerla che tutto quello che sta avvenendo sia in realtà solo frutto della sua immaginazione, sostenendo che l’intensità delle luci sia rimasta la medesima di sempre, in questo modo nascondendo il suo operato.
La situazione si protrae a lungo e alla fine la moglie finisce con l’impazzire.

Così funziona il Gaslighting: la vittima viene gradualmente indebolita e resa malleabile, un disegno spietato che viene portato a compimento utilizzando una strategia subdola in cui si persegue il preciso obiettivo di deprimere totalmente il bersaglio.

Nel film ci viene mostrato come l’obiettivo sia perseguito alterando piccoli elementi dell’ambiente di vita quotidiano, tuttavia, nella realtà spesso questo si traduce in stratagemmi che, presi singolarmente, potrebbero non suggerire alcun indizio in merito a ciò che effettivamente sta avvenendo, ma la natura continuativa e costante di queste “piccole manipolazioni quotidiane”, portate avanti in modo sistematico, le rende estremamente pericolose.

Si crea così un rapporto tossico, in cui la vittima si sente inadeguata, incapace, stupida, ma contestualmente vede nel suo aggressore una “fonte di autorità”, perché la associa a una possibilità di crescita e miglioramento personale. Probabilmente questi cambiamenti tanto desiderati non si verificheranno mai in relazioni così strutturate, in quanto a prevalere è la dipendenza emotivo-affettiva; viene a mancare il rispetto reciproco e si è quasi impossibilitati a considerare il proprio carnefice o viceversa la propria vittima se non come parte imprescindibile di queste stesse dinamiche.

Un’altra conseguenza tipica che colpisce le vittime di questo modus operandi è l’insorgere di una vera e propria dipendenza dall’opinione altrui, che si manifesta come un pesante senso di insicurezza e inadeguatezza: il bersaglio si sente spinto a cercare sempre l’approvazione di un altro che non ha alcun interesse a rendere la sua vittima più autonoma e indipendente.

Entrambi finiscono per maturare una dipendenza reciproca: il gaslighter rinfaccia al bersaglio le sue mancanze, per contro il bersaglio trova in lui un’ancora di salvezza a cui crede di potersi appoggiare per mitigare il suo senso di insicurezza: lo scopo comune a entrambi pare essere quindi una deresponsabilizzazione che vede però il manipolatore in una posizione di forza. Mentre l’aggressore ha ormai il controllo del suo bersaglio, parallelamente la vittima è sempre più inconsapevole di quello che sta accadendo e, come vedremo in seguito è portata a chiudersi in uno stato depressivo.

Nonostante sia una forma di violenza estrema, il gaslighting è tuttavia più diffuso di quel che si possa pensare.

La mancanza di parità e intesa genera un vuoto in cui non vi può essere sincero amore o in cui, nel migliore dei casi, questo è inevitabilmente soffocato, posto in secondo piano rispetto all’esigenza primaria di controllo del manipolatore e di sollevamento dalle responsabilità del soggetto in posizione passiva.

Il manipolatore è, in ultima analisi, una vittima delle proprie stesse azioni: costretto a destreggiarsi all’interno di una recita infinita, utile solo a mantenere viva una sorta di “auto-glorificazione di sé” e spesso incapace di autentica empatia e di sincero interesse verso l’altro, è spinto passo dopo passo verso la totale negazione dell’identità e dei bisogni altrui.

Gli effetti di questo lento processo possono essere anche molto gravi per la vittima, che diviene progressivamente incapace di percepirsi come soggetto autonomo. La sua salute psicologica può restare per molto tempo destabilizzata e ne potrà uscire solo mediante un lungo percorso.

Per chi vive una relazione di questo tipo ė difficile accorgersene e forse, ancor di più, ammettere di essere manipolato/a, anche se, a uno sguardo più attento, è possibile individuare veri e propri campanelli d’allarme

Chi vive una situazione di tale disagio ha bisogno di un aiuto concreto per uscirne. È necessario un lungo percorso in cui la vittima riesca a vedersi come autonoma portatrice di capacità e ritrovi occasioni per dimostrare, soprattutto a sé stessa, quanto valga.

Bibliografia
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