L’hardiness (Kobasa, 1979) è tra le risorse di resilienza che negli anni sono state sottoposte a ricerche intensive e considerate ormai ‘classiche’.
" É mezzanotte di una serata estiva. Da qualche giorno il coprifuoco è stato allentato e si può fare tardi, in giro, la notte. L’Italia ha appena vinto una partita di calcio importante e i ragazzi camminano per il centro gridando cori patriottici. Macchine cariche di passeggeri si dirigono verso la propria destinazione, in una notte che nulla ha a che vedere con la stessa notte dell’anno passato. La città sembra stare recuperando la vitalità che in questo periodo di pandemia sembrava persa. E così anche le persone."
Accade spesso, in psicologia, che un concetto nato da ricerche condotte in ambito universitario abbia, anche ad opera di un buon lavoro di divulgazione, un discreto successo e che acquisisca rapidamente notorietà presso il grande pubblico. La resilienza è uno di questi.
La letteratura che riferisce direttamente o indirettamente a questo concetto è molto vasta e copre diversi domini disciplinari. Altrettanto diversificate sono le definizioni dei diversi autori, ognuna con la propria focalizzazione.
Per i fini del presente articolo possiamo definire la resilienza come la manifestazione di un’evoluzione favorevole nonostante l’esposizione a consistenti forme di stress, riconosciute come capaci di comportare un alto rischio di esiti disadattivi (Rutter, 1993). Questa evoluzione può far leva su risorse presenti a diversi livelli: individuale, familiare, extrafamiliare e sociale (Becciu, Colasanti, 2016, 81). Rispetto al livello individuale, la ricerca in merito procede ormai da decenni, e ne sono state identificate molte.
L’hardiness (Kobasa, 1979) è tra le risorse di resilienza che negli anni sono state sottoposte a ricerche intensive e considerate ormai ‘classiche’. Questo costrutto nasce per trovare una risposta al perché, nell’ambito di impieghi ad alto carico di lavoro, di natura altamente stressante e in condizioni ad alto rischio per il benessere, alcune persone tendono a sviluppare sintomi di disagio psicologico, se non una vera e propria diagnosi psichiatrica, mentre altre tendono a mantenere un buon funzionamento, tendono a performare ad alti livelli e mostrano solamente lievi segni di difficoltà di adattamento.
Questa risorsa personale di resistenza allo stress si compone di tre attitudini: al controllo, all’impegno e alla sfida. Vediamole da vicino:
Il processo di fondo che regge questi tre atteggiamenti è la valutazione degli eventi nei quali ci troviamo in termini di minaccia o di sfida/opportunità. È infatti la valutazione dell’evento in chiave di minaccia non risolvibile o di circostanza che è possibile affrontare e superare con le risorse a nostra disposizione, che determina per il soggetto la sua sua natura minacciosa e esclusivamente stressogena, oppure di sfida/opportunità energizzante (Folkman, Lazarus, 1984). Se la valutazione è in termini di sfida/opportunità, l’assetto intenzionale nei confronti dell’evento sarà di proattività orientata agli obiettivi che avremo scelto di perseguire.
Gli individui con alti livelli di hardiness interpretano le situazioni stressanti nei termini di una sfida personale e, allo stesso tempo, agiscono attivamente nei confronti delle richieste ambientali, ponendo le condizioni affinché esse non risultino ingestibili o eccessive. Essi, inoltre, impiegano strategie di fronteggiamento ben calibrate in relazione all’evento di fronte a cui si trovano, utilizzando in maniera efficace il supporto delle altre persone e le risorse (informative, materiali, economiche, emotive, strumentali) disponibili. Il risultato finale per queste persone è una risposta resiliente alle avversità, che si può tradurre in un buono stato di salute psicologica, unito a sentimenti di crescita e soddisfazione personale (Kobasa, Maddi, Courington, 1981).
Il costrutto è stato ampiamente testato in contesti che generalmente esercitano un alto impatto sull’individuo (posizioni manageriali in grandi organizzazioni, forze di polizia, vigili del fuoco, contesti militari, competizioni sportive di alto livello, tra gli altri), con risultati che ne confermano la natura protettiva sulla salute e la performance. In definitiva, le tre componenti dell’hardiness sembrano in grado di spiegare in buona parte la capacità della persona di resistere allo stress e al disagio, al trauma e alla malattia psichica, in presenza di circostanze anche molto minacciose (Maddi, 2002).
La pandemia da cui, si spera, usciremo presto, ha messo a dura prova le risorse psicologiche delle persone, sia a causa delle conseguenze economiche, lavorative e sociali che essa ha innescato che, naturalmente, in relazione alle potenziali conseguenze negative per la salute. Purtroppo molti stanno sperimentando il ‘long covid’ o hanno subito perdite importanti nella propria rete familiare e sociale, altri hanno perso il lavoro, altri ancora hanno perso una prospettiva positiva sul futuro o sviluppato sintomi psichiatrici.
Lo stato di cose che deriva da questa esperienza collettiva è irreversibile. Nonostante la retorica del ritorno alla normalità possa portare ad adottare l’illusione che questa esperienza sarà cancellata da una quotidianità per molti versi simile a quella pre-pandemia, questo evento ha inevitabilmente avuto un impatto duraturo sulla percezione collettiva del mondo, degli eventi e del futuro.
Guardare alla resilienza può fornisci indicazioni sulle attitudini e i comportamenti più funzionali al recupero di un nuovo equilibrio, una nuova percezione di sé, un nuovo modo di essere e, infine, il recupero di una dimensione di progettualità, senso e speranza per il futuro. Possiamo considerare questo evento qualcosa di temprante e sviluppare da esso, nonostante tutto, una maggiore forza, stabilità interiore e flessibilità, mentale e comportamentale.
In questo senso le tre attitudini dell’hardiness possono fornirci alcune linee guida:
Illuminato delle tre attitudini dell’hardiness, il ritorno alla nuova normalità post-pandemia ci fornisce la possibilità non solo di trovare inaspettati e soddisfacenti livelli di adattamento e di benessere psico-fisico, ma di trovare una nuova percezione di noi stessi e della nostra capacità di confrontarci con gli eventi avversi della vita che, prima o poi, sono inevitabili per chiunque.
L’impatto positivo sulla salute fisica e mentale di tutto questo è ampiamente documentato in letteratura (Maddi, 2006), non ci resta che attuarlo per vivere una vita in cui siamo noi, per quanto ci è possibile, a scegliere il nostro futuro.
Bibliografia